Che ne dite del seguente articolo?
Meglio soli o...-SW 125, luglio 2007
di: Tarcisio Olgiati
Animali sociali o intimisti?
Cari amici, la questione è spinosa e dibattuta da sempre: il motociclista è animale sociale o un intimista che centellina e assapora piccoli grandi piaceri nel chiuso del proprio casco e rispondendo solo al proprio gusto e alle proprie emozioni? Forse siamo un mondo troppo complesso, ma proviamo lo stesso a capire.
Ovviamente si potrebbero enumerare casi a favore dell’una e dell’altra tesi, così da non riuscire nemmeno qui a giungere ad una conclusione. Nel mondo della moto l’aggregazione è all’ordine del giorno, a prescindere dal tipo di uso che si fa delle due ruote. Forse è perché i motociclisti si sentono da sempre parte di una casta di iniziati, di un insieme ramificato ma anche cameratesco e accomunato, oltre che dalla passione, anche dal considerarsi un po’… laterali rispetto al modo di vedere la vita tipico del “resto del mondo”. Se vogliamo esistono delle sottocategorie, ad esempio gli smanettoni e i fuori stradisti contrapposti ai turisti e ai modaioli, per non parlare dell’approccio dei duri e puri rispetto a quello di chi va in moto per necessità (c’è chi non può permettersi l’auto o è “costretto” usare la moto per lavoro). Però lo spirito di comunità c’è, ed è simboleggiato dai moto club, dai raduni di marca, e sempre più sono le Case stesse ad alimentare il senso di appartenenza, anche se il loro scopo rimane sempre vendere le moto, non dimentichiamolo.
I motociclisti in gruppo hanno una visione apollinea della vita, si concedono piaceri semplici ma forti, rappresentati dalle mangiate che di solito sono il vero obbiettivo di giri organizzati nei minimi particolari. La goliardia, gli sfottò, gli scherzi più o meno pesanti sono tipici dei mototuristi così come degli assatanati dei passi, per non parlare del fatto che tra gli argomenti di conversazione non manca mai l’accenno al… centro di gravità permanente che muove il mondo (“non so se mi sono capito…”). In branco si allentano i freni inibitori e ci si abbandona a manifestazioni meno controllate della propria personalità, protetti dal fatto di stare con persone sintonizzate sulla stessa lunghezza d’onda. E poi quasi mai si seguono proprio tutte le regole, né quelle dei manuali di guida né quelle del codice della strada: la ricerca del divertimento si scontra con la varietà di stili e talenti, così spesso ci si trova a viaggiare (ostinatamente o inconsapevolmente) sul filo del proprio limite per tenere il ritmo di chi precede, anche se per lui è tutto naturale e noi invece siamo impiccati. Aspetti ludici e spirito agonistico (latente in ogni motociclista) si accompagnano gli ingarellamenti fino all’inesorabile conclusione: in cima al passo giunge sempre un altro, e a noi resta l’amara riflessione sull’ingiusto criterio con cui la natura usa la propria generosità. Vabbé, tanto si può sempre a dare la colpa alla moto, al fondo stradale, alle cavallette, al terremoto, ai monsoni…
In questo al motard solitario va un po’ meglio, data la mancanza di riferimenti coi quali confrontarsi. L’asociale (per scelta) è riflessivo, più raffinato nella ricerca del piacere della bella guida, trova soddisfazione dell’esplorazione approfondita di sé, della moto e delle strade. Il solitario guida per il piacere di farlo, e non è infrequente che percorra più e più volte gli stessi tratti, studiandoli fino a raggiungere quella consapevolezza che gli permette di trarre compiaciuto appagamento dalla guida precisa e impegnata, perfino azzardata. A volte, spesso a ragione, il nostro eroe passa per “postino”, ma capita anche che voglia semplicemente perfezionare l’approccio a un certo tipo di curva, migliorare la propria impostazione in sella, o anche solo sondare (magari per innalzarli) i propri limiti. Il problema è che sovente non ha la percezione della propria “bravura”, e può sopravvalutare le sensazioni o ritrovarsi frustrato poiché non sa quanto bene stia guidando. E la dura realtà si palesa mentre viene sverniciato sul tratti in cui ci si crede imbattibile, la consapevolezza arriva con la delicatezza di un pugno nello stomaco. A parte il fatto che, finanze permettendo, ci sarebbe la pista, ma forse la verità sta nel sano vecchio buon senso: il piacere solitario ha un gusto tutto suo, ma non è mai completo, e rapportarsi altri esemplari della specie non è un male. Però anche gli eccessi del gruppo alla lunga risultare stucchevoli, quindi la soluzione non è poi così scontata.