Un recente studio torna ad analizzare i motivi alla base del prezzo alto del carburante italiano, più caro che negli altri paesi europei. E denuncia una liberalizzazione che è tale solo di facciata
Mentre arriva una nuova raffica di aumenti della benzina, uno studio dell'Istituto Bruno Leoni denuncia le cause dei costi del carburante italiano più elevati rispetto a quello di altri paesi europei.
Ne escono inaspettatamente assolti i petrolieri, visto che il problema vero nel nostro Bel Paese sembra essere quello dell'inefficienza della rete distributiva. Se n'era già parlato in passato, ma lo studio attuale sembra andare oltre nell'individuazione dei problemi.
Per allinearsi ai prezzi degli altri paesi servirebbe una reale liberalizzazione del servizio. Bisognerebbe insomma sbloccare la diffusione delle pompe bianche – quelle senza marca, per intenderci – e degli impianti gestiti dalla grande distribuzione organizzata, gli ipermercati, come da anni già accade all'estero.
Carrefour è stata una delle prime società della grande distribuzione organizzata a offrire ai propri clienti anche il servizio carburante
Lo scoglio sono le nuove normative regionali. Nel 2005, infatti, l'Unione Europea mise in mora lo Stato Italiano per "violazione della libertà di stabilimento", in seguito a una segnalazione delle organizzazioni della GDO (Grande distribuzione organizzata). Molte regioni dovettero recepire le indicazioni UE, ma lo fecero con regolamenti che comunque impediscono ancora oggi la nascita di nuovi impianti.
Un esempio di scoglio burocratico è nell'obbligo per i nuovi distributori di sottostare a norme che non vengono applicate agli esercizi già esistenti, come ad esempio la necessità di avere nell'impianto anche una fornitura di carburanti eco compatibili (GPL, metano etc), pratica che rende difficili nuove aperture per via di misure di sicurezza particolarmente restrittive. Insomma, una condizione di disparità della quale si era accorta a suo tempo anche l'Antitrust.
A questo va aggiunto che molti benzinai pretendono ancora di vivere esclusivamente sul commercio di carburante, mentre ormai è appurata la necessità di dover allargare il proprio business anche su altri prodotti (bar e prodotti da banco in generale), per aumentare i margini di guadagno.
E poi ci siamo noi italiani che spesso snobbiamo le pompe self service, preferendo pagare di più (facendo anche la fila) per non sporcarci le mani.
Cosa si potrebbe fare? Intanto ridurre gli impianti di distribuzione in modo da dare la possibilità a chi resta in attività di poter godere di un fatturato superiore. Ma questo è un processo già in atto.
Più urgente, invece, è la necessità di intervenire sul piano normativo, soprattutto con l'obiettivo di liberalizzare le licenze di vendita di altri prodotti, consentendo così ai vecchi gestori di commercializzare non solo e per forza prodotti petroliferi.
di Riccardo Matesic
12/11/10