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 cose turche

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5 partecipanti
AutoreMessaggio
sergioenrico

sergioenrico


Numero di messaggi : 293
Data d'iscrizione : 18.12.12

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MessaggioTitolo: cose turche   cose turche EmptyMer 30 Dic - 12:10

Visto che è inverno

provo a raccontarvi Cose Turche

ma solo la prima parte né Laughing Laughing

Non ci sono foto, ma se fate uno sforzo potete immaginare…

Agosto 2001 Nel paese dei contrasti.

Turchia,ancora una volta.
Questo paese, la varietà dei suoi paesaggi dagli orizzonti infiniti, le sue testimonianze storiche e artistiche spesso intatte, la sua gente sempre curiosa e disponibile, ci hanno affascinato alcuni anni fa.
Abbiamo così raggiunto, sempre in moto, le mete tradizionali di un viaggio in Turchia; Istambul, la costa Egea, la Cappadocia, lembi di terra che hanno accentuato in noi, la percezione di un paese dalle diversità stridenti e che hanno accresciuto la nostra voglia di approfondire i molteplici aspetti delle sue culture, sempre in bilico tra la voglia di occidente e i solidi legami con l’Islam.
La decisione finale sulla meta da raggiungere è però, come spesso ci capita, generata da una suggestione: La fotografia dell’Isak Pascià Saray, un palazzo da mille e una notte che, appollaiato su una rupe, fa da sentinella ad una sterminata pianura con sullo sfondo l’Ararat, la biblica montagna dell’arca, al confine con l’Iran.

Pavia Brindisi Cesme km 980
Il viaggio comincia come di consueto, con il lungo trasferimento autostradale da Pavia a Brindisi. Abbiamo sostituito l’Africa Twin, fedele compagna di tanti viaggi, con una fiammante Caponord cha siamo curiosi di mettere alla prova in un viaggio impegnativo. La moto è davvero molto comoda, unico neo delle vibrazioni appena percettibili che però non arrivano alla soglia del fastidio.
I quasi mille chilometri che ci separano dal traghetto, vengono “bevuti” con sorprendente facilità dalla Caponord e affatto stanchi, arriviamo con largo anticipo al porto d’imbarco, dove scopriamo con disappunto che la nave, invece che alle 23,00, partirà solo l’indomani.
Assorbita l’arrabbiatura, tutt’altro che disponibili a trascorrere la notte al porto, ci dedichiamo alla ricerca di un albergo. Sistemati moto e bagagli, decidiamo per una visita alla città quando, voci concitate di poliziotti ci intimano di allontanarci dal Mc Donald’s dove eravamo diretti.
Solo allora ci rendiamo conto dell’allarme bomba originato da una borsetta dimenticata da chissà chi. Il caos dura diverse ore che passiamo tra tensione e divertimento, fino a quando, intervenuti gli artificieri, non cessa l’allarme e la vita riprende il suo normale corso.
La mattina successiva ci presentiamo puntuali al porto solo per scoprire un nuovo ritardo. Le spiegazioni al ceck-in sono confuse; ci viene comunicato un nuovo orario per l’imbarco: Le 11.00.
Veniamo a sapere nel frattempo che, durante la notte, la polizia ha faticato non poco a trattenere la rabbia della folla di emigranti Turchi che, dal nord Europa, con famiglie al seguito, è stata costretta a bivaccare al porto in condizioni francamente disumane.
Il traghetto arriva finalmente alle 13,00. Nave Greca, personale Turco, accoglienza Italiana. Non c’è da stupirsi se la nave è in ritardo! Sul traghetto, oltre a noi, i soli italiani sono una simpatica famiglia in vacanza sulla costa turchese ed un naturalista che ha come meta i rilievi dell’Hatay (l’estremo sud est della Turchia) alla ricerca di serpenti e scorpioni.

Cesme Konya km 650
Sono le 23.00 quando la nave attracca al porto di Cesme con “sole” 17 ore di ritardo. Le formalità doganali, per niente semplificate dall’ora tarda, durano il solito paio d’ore. Fortunatamente troviamo alloggio in un centralissimo hotel a Cesme: Un giorno buttato.
L’indomani, senza aver avuto il tempo di procurarci moneta locale, ci dirigiamo verso Smirne, utilizzando un tratto autostradale del tutto deserto. Anche a Smirne le banche sono ancora chiuse e ci ritroviamo con in tasca solo l’equivalente di 50 Euro. Come inizio non c’è male. Scoviamo finalmente un ufficio di cambio e con le tasche gonfie di svariati miliardi di lire turche, ci sentiamo decisamente più tranquilli.
Ci inoltriamo nell’altopiano Anatolico in direzione di Sardi, l’antica capitale della Lidia, celebre per le ricchezze del suo mitico re Creso. Per poco non superiamo il sito quando, quasi per caso, scorgiamo in margine alla sede stradale, le monumentali rovine dell’antica città.
Parcheggiata la Caponord proprio all’ingresso del ginnasio, entriamo nel grande cortile. Ammiriamo l’elegante costruzione a due ordini, alta diciotto metri, in puro stile corinzio che, sapientemente restaurata, permette di comprendere il livello tecnologico ed artistico, raggiunto da architetti e costruttori, al tempo dei Severi, negli anni a cavallo del 200 d.c.
Conclusa la visita a quella che doveva essere nell’antichità una città di rilevante importanza commerciale, riprendiamo la strada verso le steppe centrali dell’altopiano anatolico.
Attraversiamo rapidamente Afyon, il grande centro di produzione legale di oppio che viene utilizzato dall’industria farmaceutica.
I circa 200 chilometri che separano Afyon da Konya non offrono particolari spunti di interesse. Solo, alcuni chilometri prima della città, attraversiamo un paesaggio lunare fatto di antichi coni vulcanici, memoria geologica della terra di milioni di anni fa.
Konya finalmente!!! Dopo più di seicento chilometri in moto siamo affaticati e non vediamo l’ora di una rigenerante doccia. Prima di arrivare in centro, la città ci accoglie con la sua periferia disseminata di anonimi palazzi e di “fabrikasi tesileri” che intuiamo essere dedite alla tessitura di tappeti.
Decidiamo per un centralissimo hotel prospiciente il monastero di Mevlana. La camera che ci assegnano ha una vista sulla stupenda cupola rivestita da maioliche verdi-azzurre, uno degli spettacoli più belli della Turchia.
Il motivo principale per visitare Konya è proprio la tomba-museo di Mevlana, uno dei luoghi più importanti del misticismo islamico, eretto nel dodicesimo secolo da Calaeddin Rumi, il fondatore dell’ordine dei Dervisci danzanti.
Dall’esterno, il complesso architettonico è caratterizzato dalla cinta muraria che introduce in un ampio cortile che permette la vista dalla cupola che con il suo alto tamburo e la sua nota di colore, contrasta con il grigio della pietra.
Come in tutta la Turchia, una vera rarità per i paesi mussulmani, l’ingresso ai luoghi sacri è consentito a patto di utilizzare un abbigliamento e un comportamento adeguato. Con il giusto rispetto, entriamo nella sala del mausoleo, interamente occupata dai sarcofagi di Mevlana, di suo figlio e di suo padre. I sepolcri sono interamente coperti da drappi ricamati d’oro, siamo accompagnati dalla dolce musica dei flauti e dalla cantilena delle preghiere dei fedeli.
All’uscita mentre mi infilo le scarpe, sfioro il tappeto e vengo fulminato dallo sguardo ostile del muezzin che mi prende anche a male parole. Spero abbia perdonato la mia disattenzione, ma non oso immaginare cosa sarebbe successo se avessi bivaccato in moschea come certi mussulmani fanno sui sagrati delle chiese.
Il viale che parte dalla piazza del mausoleo e che conduce alla collina di Aladino è il cuore pulsante di Konya ma passeggiare nei dintorni del complesso museale, significa farsi assalire dai venditori di tappeti che per nulla al mondo, rinuncerebbero ad un buon affare. Hanno sempre un fratello un cugino un parente che vive in Italia. Le loro strategie per agganciare il potenziale cliente, sono le più evolute ed è parecchio difficile far loro capire che non sei interessato alla visita del loro show room.
Sulla collina di Aladino, l’altro fulcro della città, si trova il sito antico, attorno al quale si è sviluppato il nucleo medioevale di Konya con al centro una moschea, costruita prevalentemente con materiale di spoglio proveniente da costruzioni preesistenti.
Girando senza meta per la città, l’ impressione è di una conferma alle affermazioni delle guide: Konya è una delle città più conservatrici della Turchia; Qui il velo è la regola ed è molto raro vedere donne a capo scoperto. La sera, ceniamo con un appetitoso firin kabab, il piatto tipico di Konya, accompagnato da bevande rigorosamente analcoliche.

Konya Sivas km 490
Ripartiamo da Konya in direzione di Kayseri ancora una volta sulla familiare via degli Han.
E’ sempre piacevole questo tratto di strada. La prima volta che lo abbiamo percorso è stato più di 10 anni fa, quando l’altopiano tra Konya a Kaiseri era una desolata landa bruciata dal sole, con rari ciuffi d’erba trasportati dal vento. Oggi questi spazi sono votati alla coltivazione di grano, viaggiamo affascinarti dal giallo degli sterminati campi, con le messi appena tagliate.
Poco prima di Kayseri sfioriamo il tipico paesaggio della Cappadocia, che anche qui manifesta lo spettacolo prodotto dall’erosione di migliaia di anni. Giù nei fondovalle, la poca acqua fa vivere rigogliosi salici e il verde si impone sull’arida steppa.
Avevamo programmato una sosta a Kayseri, l’antica Cesarea ma quando ci arriviamo non siamo per nulla stanchi e nonostante il gran caldo decidiamo di proseguire per Sivas.
Seguendo una strada secondaria, percorriamo le valli selvagge dell’altopiano Anatolico. La presenza umana è segnata solo da lontani accampamenti di contadini reclutati per il raccolto e da apicoltori che offrono i loro prodotti al bordo della strada. L’itinerario è pieno di sorprese e ci regala la vista di uno splendido ponte di epoca ottomana che scavalca un ignoto fiume.
Nonostante le frequenti pause, percorriamo i circa 450 i chilometri che separano Konya da Sivas in circa sei ore e arriviamo in città nel primo pomeriggio.
Utilizziamo il resto della giornata per visitare Sivas che è stata un importante centro di cultura Selgiuchide le cui testimonianze sono evidenti nelle numerose mederse e nelle moschee con i portali caratterizzati dalle ricche decorazioni a stalattiti.
Mentre visitiamo il parco, nel quale sono raggruppati i maggiori monumenti della città, veniamo presi d’assalto da una moltitudine di ragazzini dediti all’accattonaggio, i più grandicelli mirano chiaramente al mio portafoglio, custodito incautamente nella tasca posteriore. Devo fare la voce grossa per allontanarli, e tutto finisce bene.

Sivas Erzurum km 420
Il giorno dopo, dirigiamo ancora a est, verso Erzurum. La strada, che pure costituisce uno dei principali assi viari del paese, destinata al collegamento della Turchia europea con l’Iran e con l’oriente, è poco battuta ed è l’evidente testimonianza del declino dei traffici commerciali in questo angolo di mondo.
Il paesaggio diventa via, via sempre più selvaggio. La strada si tiene per lo più ai margini dei rari centri urbani che incontriamo. Superata Ezincan entriamo nella valle dell’alto Eufrate. Lo storico corso d’acqua nasce su queste montagne e dopo aver percorso migliaia di chilometri, va a morire nel golfo Persico.
E’ davvero emozionante quando un cartello prima di un ponte in ferro, segnala “Firat Neri” l’Eufrate, uno dei fiumi mitici che ci facevano sognare quando, bambini, si leggeva di Babilonia, degli Assiri e di Nabucodonosor.
Continuiamo nella valle. Il fiume non costretto da argini artificiali, si allarga in mille rivoli, regalandoci una immagine desueta. In lontananza, si lavano i tappeti al fiume, nei nostri occhi si accumulano immagini confinate nel passato, rimpiante, forse, solo da chi è spettatore ma probabilmente non da chi le deve vivere giorno dopo giorno.
Proprio alla periferia di Tercan, siamo sorpresi da un forte temporale e ci rifugiamo in una affollata area di sosta. Con noi una chiassosa comitiva di ragazzi e ragazze di Istambul alla scoperta del loro paese. Curiosi, ci circondano, ci interrogano, osservati dallo sguardo severo dalla gente del posto. Quanto sono lontani dai loro coetanei che abitano qui.
L’improvviso temporale sembra attenuarsi e ripartiamo. Purtroppo dopo pochi chilometri la bufera riprende, il vento di traverso diventa sempre più forte causando paurose sbandate. E’ impossibile guidare, siamo costretti a fermarci. Fortunatamente una pattuglia di poliziotti ci fa segno di seguirli, e ci conduce in un luogo riparato dove ci infiliamo nelle tute antiacqua.
Poco dopo ci rendiamo conto di essere in un posto di straordinaria bellezza. Dall’alto ammiriamo le spoglie pareti di roccia rossastra che, colpite dalla luce filtrata dalle nubi, si riflettono nel bacino artificiale formato dall’Eufrate, generando un caleidoscopio di colori.
Ripartiamo ancora accompagnati dal vento che, sensibilmente diminuito, ci permette di procedere a velocità moderata, scortati per alcuni chilometri dai poliziotti, nostri angeli custodi.
Dopo una mezz’ora piuttosto difficile, gli scrosci di pioggia ci abbandonano e sotto un cielo ancora incupito, arriviamo ad Erzurum, dove sostiamo all’hotel Dilaver, un confortevole tre stelle con un ristorante all’ultimo piano con una magnifica vista sulla città.
Il tempo ci dà una tregua e ne approfittiamo per andare a zonzo per il centro. Certo, cercare di capire una città nel breve spazio di un pomeriggio è da presuntuosi, ma ci appare evidente che Erzurum appartiene agli uomini che contrattano, sorvegliano, oziano, mentre le donne, ombre coperte da neri veli, scivolano via veloci, quasi invisibili.
Il monumento più rappresentativo di Erzurum è certamente la Ulu cami, la grande moschea di epoca Selgiuchide, non visitabile a causa della festa della circoncisione. La moschea è affollata da orgogliose famiglie di trepidanti ragazzini che attendono di “diventare uomini”.

Erzurum Kars km 200
Ripartiamo. Dopo le serrate valli che portano ai duemila metri di Erzurum, la strada che si distende sull’altopiano in interminabili rettilinei, invita ad aprire il gas e poco prima di Horasan, la lontana sagoma di un poliziotto ci intima di fermarci. Pensiamo al solito controllo, invece abbiamo superato il limite di 90!! Km/h rilevato da qualche infernale macchinetta. Dopo qualche trattativa i dollari richiesti passano da 30 a 20 e finiscono, senza alcun verbale, diritti nelle tasche dei poliziotti che, dopo averci offerto da bere, ci salutano con una cordiale stretta di mano.
Dopo il salasso riprendiamo con più tranquillità la strada che torna ad inerpicarsi in magnifiche valli dai colori alpini. In lontananza pascolano grandi mandrie; solo il suono ritmato di una campana appesa al collo di una mucca, trasmette il trascorrere del tempo.
Arriviamo a Kars, punto di partenza per le escursioni ai resti di Ani, città che è stata centro culturale del popolo Armeno tra il IX e il XIII secolo.
Kars è a pochi chilometri dall’Armenia, un confine fino a pochi anni fa, parecchio caldo, oggi la situazione appare più tranquilla. In ogni caso, la presenza di militari è sempre incombente. Folti gruppi di ragazzi, infilati in divise dalle misure sempre sbagliate, sciamano per le strade della cittadina alla ricerca dei pochi svaghi.
L’organizzazione per la visita ad Ani, ci porta via tutto il pomeriggio, a causa di una complicata procedura concordata con la repubblica Armena, retaggio del vecchio rapporto tra Turchia e URSS.

Kars Ani Kars km 90
L’indomani, con tutti i documenti in ordine partiamo per Ani, distante da Kars circa 45 chilometri. La strada, poco più di una pista, attraversa la prateria dell’altopiano. Sopra di noi, in alto, i rapaci, forse aquile, volteggiano in cerca di preda. Ci fermiamo a godere del silenzio che ci circonda e non possiamo fare a meno di sentirci al centro del mondo.
Ani si preannuncia con un posto di blocco dell’esercito. Esaminati documenti, cazzi e mazzi, Dopo qualche centinaio di metri, superato un agglomerato di casupole dai tetti di paglia, con lo sterco seccato accumulato sulle aie per il riscaldamento invernale, compaiono le mura di pietra con il largo portale d’ingresso alla città antica.
Ci fermiamo, con cordialità ci accoglie un giovane graduato che in un perfetto inglese ci invita a parcheggiare la moto all’interno delle mura e ci detta le regole per la visita, tra le quali c’è il divieto di fotografare. Il sergente è un ragazzo di 20 anni vissuto in Australia fino a 2 anni fa. Possiamo immaginare come si senta, confinato in questi luoghi.
Varcato l’ingresso, disseminati in una ondulata prateria, ci appaiono i resti della città antica. Le chiese, risalenti ad un’epoca compresa tra il IX e il XII secolo, gli unici resti architettonici ancora leggibili, sono caratterizzate da un notevole sviluppo in altezza e da un rigore tecnologico che a quell’epoca, in occidente era andato perduto.
Flagellate da saccheggi e terremoti le costruzioni testimoniano di una grandezza ormai offuscata dal tempo. Si stenta a credere che la città ospitasse oltre centomila abitanti e che rivaleggiasse con Costantinopoli per il controllo di queste terre.
In lontananza, la altane dei soldati dei due stati controllano il confine, di nascosto rubiamo alcuni scatti e per poco non veniamo sorpresi da una pattuglia che ci rinnova il divieto. Gli stessi militari ci guidano ad una finestra affacciata su una spettacolare gola, profonda un centinaio di metri, formata dal fiume Apra che fa da confine con la repubblica Armena.
Tornati a Kars, dopo cena, in albergo, condividiamo le nostre sensazioni con una coppia di romani che viaggia con i mezzi pubblici, in questo pezzo di mondo non ancora investito dal turismo di massa.

Kars Dougubeyazit km 180
Ripartiamo in direzione sud est, verso Dougubeyazit, ai piedi del monte Ararat: il giro di boa del nostro viaggio.
Siamo in Kurdistan la regione che da sempre rivendica la sua autonomia dalla Turchia. Le tensioni tra l’esercito turco e i separatisti sono palpabili, i militari presidiano ogni incrocio, ogni punto strategico.
I frequenti posti di blocco si fanno ossessivi e ostentano blindati e nidi di mitragliatrici, trasmettendoci la netta sensazione di un clima di guerra.
Il governo turco sembra avere un controllo parziale di questa parte del territorio che pare essere esercitato solo sulle principali vie di comunicazione. La presenza costante dell’esercito ci desta, insieme al fastidio per le continue soste e i relativi controlli dei documenti, una sensazione sicurezza.
La strada, assolutamente deserta, ci regala gli straordinari paesaggi e i mille colori della valle formata dal fiume Apra e dalle montagne dell’altopiano Iraniano distante pochi chilometri. Superata Igdir, in lontananza comincia a stagliarsi il profilo dell’Ararat, la montagna della Bibbia, la cui presenza, dopo pochi chilometri, si fa incombente fino ad occupare l’intero orizzonte.
Proseguiamo affascinati dal cono vulcanico, la cui cima innevata, insolitamente sgombra da nubi, si eleva oltre i 5.000 metri. Alla sua base, una larga prateria, dalla quale l’Ararat, gigante solitario, sembra emergere, violentando la crosta terrestre.
Scendendo verso Dougubeyazit, il paesaggio montano lascia spazio ad una desolata steppa battuta da un vento secco e impetuoso che alzando nubi di polvere, ci riempie la gola e ci dissecca la pelle, facendoci arrivare stanchi in città. Scelto l’albergo e depositati i bagagli, cerchiamo un posto per il pranzo. In tutto l’est della Turchia, è piuttosto difficile trovare un ristorante di standard occidentale. Ne scegliamo uno che ci sembra dare accettabili garanzie ma anche questo, all’interno rivela le solite carenze di igiene presenti all’est del paese che pagheremo il giorno dopo.
Dougubeyazit è una città di frontiera nella quale ci riesce sempre più difficile individuare qualche traccia di occidente. Qui le moschee sono affollate, gli uomini hanno lunghe barbe, le donne portano il chador. Siamo investiti dai vigorosi odori dell’oriente provenienti dalle bancarelle dei mercati all’aperto, dagli improvvisati ristoranti, dai carretti carichi di cibi sulla cui freschezza è lecito dubitare. Ma Dougubeyazit è anche la base ideale per la visita ad uno dei più incredibili edifici che ci sia capitato di vedere: Il palazzo di Isak Pascià. Impazienti ci dirigiamo verso il palazzo che si intravede, incastonato nella montagna, appena oltrepassata la periferia della città. Una breve strada si inerpica sul fianco della montagna e ci conduce fino allo spiazzo d’ingresso.
L’edificio, di oltre 350 stanze, è stato costruito intorno al 1700 dal sultano curdo Isak. Il palazzo è articolato attorno ad un grande cortile centrale sul quale affacciano la moschea e le sale pubbliche. Più nascoste ma estremamente graziose le stanze dell’Harem. Nonostante lo strano miscuglio di stili il complesso conserva una unità architettonica che lo rendono piacevole. E’ straordinaria la vista che si gode dall’alto della collina. Di fronte a noi il palazzo, sullo sfondo la città, adagiata nella sterminata pianura, con le aride montagne che le fanno da corona. Restiamo in silenzio a godere dello spettacolo del sole che tramonta arrossando il profilo delle vette

fine prima parte
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MessaggioTitolo: Re: cose turche   cose turche EmptyDom 3 Gen - 11:22

Bellissima la Turchia!

Appena ho 5 min leggo tutto.
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Norton
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MessaggioTitolo: Re: cose turche   cose turche EmptyDom 3 Gen - 14:03

bel racconto, Sergioenrico, come al solito preciso e dettagliato.
Fa venir voglia di andare in Turchi a chi, come ma, non c'è mai stato.
C'è qualcuno che avrebbe una mezza intenzione? Question

bravura

bravo a te, a Eugenia, ma anche alla Caponord
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Maschio
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MessaggioTitolo: Re: cose turche   cose turche EmptyMar 5 Gen - 18:37

Mamma li turchi!!! sorrisone  Attendo con impazienza il seguito... Smile
dacordi
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sergioenrico

sergioenrico


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MessaggioTitolo: Re: cose turche   cose turche EmptyGio 7 Gen - 9:09

Norton ha scritto:
bel racconto, Sergioenrico, come al solito preciso e dettagliato.
Fa venir voglia di andare in Turchi a chi, come ma, non c'è mai stato.
C'è qualcuno che avrebbe una mezza intenzione? Question

bravura

bravo a te, a Eugenia, ma anche alla Caponord

la Turchia è un paese da visitare.

Oggi è certamente meno sicura di quando abbiamo fatto i nostri viaggi, in particolare nelle grandi città e nei luoghi frequentati dal turismo di massa. (vedi i vari attentati)

Quanto al sud est del paese, il kurdistan turco, temo sia decisamente da sconsigliare (Dyarbakir) è a un centinaio di chilometri dal confine siriano.

Quando siamo andati in Turchia, l'abbiamo assaggiata lentamente, boccone dopo boccone..

prima istambul e la costa egea, poi il mediterraneo e la cappadocia, infine il viaggio nell'est del paese cui fa riferimento il racconto.

tra l'altro negli ultimi due viaggi abbiamo utilizzato un comodo traghetto, mentre oggi occorre sciropparsi il vecchio tragitto slovenia-croazia-serbia-bulgaria, almeno 2-3 giorni. Noi l'avevamo fatto in tre giorni.


Ultima modifica di sergioenrico il Gio 7 Gen - 16:30 - modificato 1 volta.
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Tony

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MessaggioTitolo: Re: cose turche   cose turche EmptyGio 7 Gen - 9:23

bello; bravi
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